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Lo scopo dello stato patrimoniale ruota attorno all’analisi dettagliata della consistenza del capitale netto e della composizione del patrimonio in un determinato intervallo di tempo.

Analizza inoltre il rapporto che intercorre fra gli investimenti portati a termine e le fonti finanziarie deputate al loro supporto.

Ne consegue che lo stato patrimoniale risulti soggetto a due logiche: una di natura finanziaria e l’altra di tipo funzionale.

Come criterio scelto per la sua riclassificazione, all’interno di questo articolo ci soffermeremo sul criterio finanziario.

Stato patrimoniale riclassificato: criterio finanziario


Il criterio finanziario verte sul mettere in evidenza l’attitudine che contraddistingue qualsiasi bene a trasformarsi in denaro liquido entro un determinato lasso di tempo.

Nello specifico, il termine congruo, per convezione, corrisponde a un anno.

L’intento di base, pertanto, consiste nell’evidenziare la capacità di fronteggiare le scadenze e gli impegni nel breve termine.

Differenze e analogie tra il criterio finanziario e quello funzionale


Il criterio finanziario differisce da quello funzionale per il fatto che quest’ultimo risulta incentrato sul rapporto tra i beni e i processi di carattere aziendale e la loro conseguente collocazione in ambito gestionale.

Denominatore comune di entrambi i criteri è la loro utilità nel permettere di acquisire tutta una serie di informazioni utile ed estremamente interessanti in relazione a come si evolvono le dinamiche aziendali.

Se lo stato patrimoniale riclassificato secondo il criterio finanziario è di cruciale importanza per determinare lo stato di liquidità, quello secondo il criterio funzionale è utile ai fini dello stato di solidità.

Quando ricorrere allo stato patrimoniale rielaborato secondo criteri finanziari


Sulla base del criterio della riclassificazione finanziaria, le attività risultano raggruppate in rapporto alla loro attitudine a diventare liquidità.

Le passività, invece, sono esposte tenendo conto delle loro scadenze.
In un certo qual modo, quindi, è possibile asserire che la riclassificazione dello stato patrimoniale secondo il criterio finanziario serve a spiegare come una realtà imprenditoriale può fronteggiare le scadenze, ossia i debiti nelle circostanze di necessità impellenti, andando a liquidare le attività a breve.

Queste ultime, infatti, non sono altro che la parte dell’attivo più semplice da monetizzare.
Come già sottolineato, per convenzione, la prospettiva da breve periodo è associata ai dodici mesi.

Tuttavia, per settori dove i lavori avvengono nell’ottica di lungo periodo, la prospettiva a breve termine cambia, dimostrandosi più estesa in termini di ciclo gestionale.

Il settore edilizio e quello dei cantieri navali sono due esempi pertinenti al riguardo.

Il concetto di liquidità

Alla base del concetto di liquidità, vi è l’idea di fondo di poter trasformare una determinata attività in denaro.

Questo vuol dire, di fatto, che ci devono essere tutti i presupposti del caso, affinché l’operazione di riferimento possa andare in porto entro un anno.

Non basta, infatti, la mera intenzione della governance di una data azienda, sia questo la proprietà oppure il management, di trasformare in liquidità quella data risorsa.

Un esempio concreto, a tal proposito, è costituito da un edificio prestigioso di grandi dimensioni che, però, deve essere ristrutturato.

I tempi dei lavori possono essere decisamente maggiori rispetto a un altro bene, dove non vi sono limiti di alcuna natura.

Magari gli amministratori hanno tutta la volontà di liquidarlo, ma ci sono elevate probabilità di riuscire a catalogare il suddetto edificio come bene rientrante nelle attività non correnti.

In definitiva, la riclassificazione dello stato patrimoniale secondo il criterio finanziario tende ad aggregare sia le attività che le passività in due gruppi comprensivi:

  • dei valori correnti, liquidabili entro un lasso di tempo pari a un anno;
  • dei valori non correnti, esigibili per un intervallo di tempo superiore ai dodici mesi.

Quali sono le componenti del capitale investito individuate dalla riclassificazione degli impieghi?


Le componenti del capitale investito identificate dalla riclassificazione finanziaria dello stato patrimoniale in base al criterio finanziario vengono differenziate sulla base della loro propensione a essere trasformate in liquidità.

Più precisamente, si possono individuare due aggregati:

da un lato, vi sono le attività correnti, costituite d tutti gli impieghi di capitale, liquidabili in un lasso di tempo che non oltrepassa la soglia dei dodici mesi:

  • le rimanenze;
  • la liquidità;
  • i crediti con scadenza inferiore a un anno – le immobilizzazioni adibite alla vendita risultano esempi perfettamente calzanti in quest’ottica.

Dall’altro lato, invece, figurano le attività non correnti, composte in larga parte da tutte le modalità di investimento che con ogni probabilità finiranno per risultare inevitabilmente vincolati al patrimonio di una data realtà imprenditoriale per un arco temporale di medio-lungo periodo.

I crediti con scadenza maggiore di un anno, così come le attività di natura finanziaria, materiale e immateriale sono ottimi esempi a tema.

Come avviene invece la riclassificazione finanziaria delle fonti?


La riclassificazione finanziaria delle fonti è strettamente collegata alla loro esigibilità.
Come già messo in evidenza, si tiene in considerazione sempre l’orizzonte temporale dei dodici mesi come riferimento.

A differenza delle attività, l’accertabilità delle passività risulta molto più semplice per quanto riguarda la durata.

Il motivo di base risiede nella presenza di specifiche clausole a livello contrattuale così come di determinate norme imperative.

Basti pensare a un debito commerciale oppure a un mutuo nel primo caso, oppure al pagamento delle imposte o al versamento dei contributi previdenziali nel secondo caso.

Pertanto, sono ben tre gli aggregati da tenere in considerazione.

Il primo è il patrimonio netto che non è soggetto a riclassificazioni, sulla base di quanto sancito all’interno dell’articolo 2424 c.c.

Il secondo è composto dalle passività correnti, costituite da debiti che è opportuno rimborsare in un lasso temporale non superiore ai dodici mesi.

Il terzo, infine, è costituito dalle passività non correnti, formate tendenzialmente da fondi o da debiti contraddistinti da una scadenza che supera un anno.

Il software business plan per la riclassificazione dello stato patrimoniale col criterio finanziario


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